Storie di soldati
Bono Massimiliano da Curno-Treviolo, reduce dalla battaglia di Adua
di Rinaldo Monella, pubblicata il 02/02/2020 - versione PDF
Ritratto di Massimiliano Bono.
Qualche anno dopo la famiglia si trasferì a Treviolo e qui il giovane ricevette la cartolina precetto per il servizio militare, venendo arruolato nel 2^ Reggimento Fanteria, 9^ Battaglione, matricola 730.
Era il 1894 e, a quell’epoca, l’Italia era impegnata in quella che venne chiamata la “Guerra di Abissinia”, un conflitto che durò un decennio e che, per lo più, testimoniò grandi sconfitte per il nostro paese.
Il teatro di guerra della Campagna d'Abissinia in una cartolina d'epoca.
Qualche piccola vittoria fu ottenuta contro i Dervisci a Sarobeiti, Agordat, Cassala (1892-1893) e contro il Ras Mangascià a Coatit e Senafe (1895) ma, in seguito, vi furono altre due pesanti sconfitte sull’Amba Alagi (dicembre 1895) e presso il Forte di Macallè (gennaio-febbraio 1896).
A sinistra l’Amba Alagi e, a destra il Forte di Macallè.
Ma la battaglia che, più di tutte, sarebbe passata alla storia, fu quella di Adua dell’1 marzo 1896, per molti anni nota come la “battaglia di Abba Garima”, dal nome di un’altura posta nella conca di Adua, dove lo scontro fu terrificante per i nostri soldati.
I due comandanti in capo avversari: il generale Oreste Baratieri e l’imperatore Menelik II.
- colonna di sinistra: Brigata Indigeni al comando del generale Matteo Albertone
- colonna di centro: 1^ Brigata di fanteria del generale Giuseppe Arimondi
- colonna di destra: 2^ Brigata di fanteria del generale Vittorio Dabormida
- colonna di riserva: 8^ Brigata di fanteria del generale Giuseppe Ellena
Di fronte, tra le alture di Abba Garima e Scelloda, c’era il campo abissino sotto il comando dell’imperatore Menelik II.
Questo era l’ordine di battaglia:
Italiani | Abissini | ||||
Brigata Arimondi | 2.900 uomini | Negus Menelik | 25.000 fucili | ||
Brigata Da Bormida | 3.500 uomini | Imperatrice Taitù | 3.000 fucili | ||
Brigata Ellena | 3.350 uomini | Negus Tecla Haimanot | 5.000 fucili | ||
Indigeni e bande | 8.300 uomini | Ras Maconnen | 15.000 fucili | ||
Batterie da montagna | 1.300 uomini | Ras Mangascià e Alula | 12.000 fucili | ||
Batterie a tiro rapido | 1.220 uomini | Ras Mangascià Stichim | 6.000 fucili | ||
Batterie indigeni | 1.400 uomini | Ras Mikael | 6.000 fucili | ||
Quartier generale e servizi | 1.150 uomini | Ras Olié e altri | 8.000 fucili | ||
Totale | 20.120 uomini | Totale | 80.000 fucili |
Teatro della battaglia, in uno schizzo dell’epoca.
Rappresentazione della battaglia di Adua.
L’esercito di Menelik disponeva invece di 80.000 fucili, 10.000 cavalli e 42 pezzi di artiglieria, senza contare lo sterminato numero di seguaci, per lo più armati di sole lance, pronti ad intervenire laddove si fosse manifestato qualche punto debole.
L’esito della battaglia del giorno seguente (1 marzo 1896) è a tutti noto e non staremo qui a descrivere quello che fu il fallimento strategico di Baratieri , che in seguito venne posto sotto processo.
Ci interessa invece spendere qualche parola su quanto accadde alla brigata di Arimondi e, in particolare, al 9^ Battaglione cui apparteneva Massimiliano.
Il generale Giuseppe Arimondi, comandante della 1^ Brigata di Fanteria.
Il contingente abissino comandato da Ras Maconnen, che da poco aveva annientato la brigata di Albertone, si rivolse ai soldati di Arimondi, arroccati in posizione sempre più precaria sul Rajo.
Consapevoli del disastro imminente, i nostri fanti, con grande spirito di sacrificio e senso del dovere, attesero l’arrivo degli abissini, in numero immensamente superiore.
Guerrieri abissini.
Si rifugiò in una buca del terreno lungo le pendici del monte e, poiché si rese conto che gli abissini uccidevano tutti i nostri soldati feriti che incontravano durante l’avanzata, prese un soldato morto e lo trascinò sopra di sé, all’imbocco dell’anfratto.
Questo stratagemma gli salvò la vita e, diverse ore dopo la fine della battaglia, uscì dal provvidenziale rifugio e raggiunse, ferito e dolorante, la strada carovaniera che passava ai piedi del Monte Rajo.
Più tardi incontrò un indigeno che, impietosito, si offerse di condurlo ad un posto di medicazione appena allestito presso Adigrat.
Soldati italiani feriti ad Adua, fotografati al posto di medicazione di Adigrat.
Ritratto di Massimiliano Bono.
Massimiliano, dopo un breve periodi di cura, venne fatto rimpatriare.
Nessuna cerimonia, nessun festeggiamento, nessun grazie ci furono per questi poveri soldati che, pur se di gran lunga inferiori numericamente, si erano battuti eroicamente contro un nemico soverchiante.
Al nostro Massimiliano venne consegnata la medaglia commemorativa della Campagna d’Africa e, magra consolazione, poiché era stato ferito, il suo nome comparve su una lapide che il Comune di Bergamo, con Deliberazione consiliare del 20 dicembre 1897, fece realizzare e posare nel cortile del Museo del Risorgimento, in Città Alta, dove tutt’ora si trova, per ricordare i bergamaschi morti o feriti ad Adua.
Medaglia commemorativa della Campagna d’Africa.
Lapide ricordo dei bergamaschi morti o feriti ad Adua: il nome di Bono Massimiliano compare in alto a destra.
Chissà se Massimiliano avrà saputo di questa lapide perché, qualche tempo dopo il congedo, emigrò in Brasile in cerca di un lavoro.
Morì nella città di Dourado, nello Stato di San Paolo in Brasile, il 15 dicembre 1962.